ASTRAZIONI
ED ESSENZE
Di Carlo Doveri
Ritorno
ad un tema che più volte sono stato sollecitato a trattare, quello dei
rapporti tra genitori e figli e tra i genitori stessi.
Molte difficoltà nei rapporti tra le generazioni e tra i sessi nascono
da equivoci o mitologie, incrostati ormai dentro il modo di sentire, e di operare
e di pensare che non da reali problemi.
Una di queste difficoltà riguarda l'essere genitori. Infatti l'uso linguistico,
che procede da un certo pensiero, ha instaurato per descrivere l'essere padre
e madre il termine genitorialità (distinto in due specie, maternità
e paternità). È come se Uomo e Donna, avendo generato un figlio
fossero portatori di un'essenza, di un dato, starei per dire istintivo, che
li rende quasi meccanicamente padre e madre. La specializzazione secondo i sessi
(maternità e paternità) è solo conseguenza di questa prima
generalizzazione astratta.
Una delle evidenze di questo errore riguardo a uomo e donna, padre e madre,
è reperibile nei bambini. Essi, infatti, non si capacitano che mamma
e papà non siano sempre stati tali e che prima di incontrarsi neppure
sapevano reciprocamente di esistere. Un errore simile lo compie, con una frequenza
che rasenta la totalità, anche la copertine/coppia stessa. Si nota è esperienza
di tutti come il fatto di generare un figlio fa sì che venga abbandonata
la posizione di marito e moglie, di uomo e donna (fino a non chiamarsi più
reciprocamente con il nome proprio, ma passando anche tra i coniugi a mamma
e papà).
Ora, padre e madre non si è per il fatto di avere generato un figlio
ed aver avuto accesso alla genitorialità, come a qualcosa di iscritto
nel nostro bagaglio biologico. Padre e madre si è in quanto si è
figli. Questo significa semplicemente che si riconosce che un altro ci ha, in
un certo momento della nostra vita, introdotti in una norma che ci permette
di trattare la realtà come conoscibile ed ereditabile. Questo atto di
introduzione al reale è un atto a due tra un Soggetto ed un Altro. Dove
il soggetto è nella favorevole posizione di essere dall'altro risvegliato,
chiamato, al desiderio di soddisfazione/felicità. Cosa è la richiesta
del bambino se non la domanda di vedere soddisfatto il proprio desiderio da
parte di un altro? Ed è proprio la risposta dell'altro che renderà
evidente il bisogno. È l'offerta del seno che dà senso alla fame
e la trasforma in un bisogno di soddisfazione da parte di un altro, al quale
ci si rivolgerà d'ora in poi con insistenza non pretenziosa. La posizione
di Soggetto e Altro propone (pone) una norma legge di soddisfazione che regge,
bene o male (più spesso male che bene), tutti i rapporti. Anche quelli
tra genitori e figli.
Questa legge non è biologica, ma è una legge posta in essere dal
lavoro dell'uno e dell'altro.
I posti di soggetto e di altro sono interscambiabili; la soddisfazione avviene
sempre su un lavoro del soggetto al fine che l'altro investa nella risposta.
Fuori da questa posizione si dà solo pretesa e pretesa senza lavoro.
Riprendiamo ora il filo del discorso riguardo alla genitorialità. Genitori
si è solo in quanto si rispetta questa norma fondamentale. Non certamente
in quanto la maternità o la paternità siano un naturale attributo
di donna e uomo. La nostra natura umana è proprio quella nella quale
c'è poco di "natura". Siamo, fortunatamente, scarsi quanto
ad istinto. Noto di passaggio che l'istintività è una altra di
quelle ità che vengono impropriamente attribuite all'essere umano e che
ci complicano la vita. Normalmente essa viene invocata per spiegare le incerte
vicende di un'altra "ità", la sessualità. Anche qui
si attribuisce ai sessi un funzionamento autonomo, entro una sfera istintiva
che possiamo solo regolare o, come si diceva una volta, dominare. Ma questa
è un'altra storia. Dicevamo che essere genitori è essere figli.
Riconoscersi tali di fronte ai propri figli rende liberi sia noi che loro da
meccanismi, supposti inevitabilmente funzionanti come dispositivi autonomi,
per riconoscerci figli della stessa norma che qualcuno ha anche chiamato legge
paterna. I genitori saranno tanto più tali quanto più sapranno
essere Uomo e Donna, cioè Soggetto ed Altro. Il lavoro di tutti è
quello di ottenere la soddisfazione, che potremo chiamare anche felicità
o bene, per mezzo di un altro. L'imperativo "fa il bene", non è
molto efficace quanto al suo scopertine/copo. L'espressione non mia "agisci in modo
tale da ricevere il bene da un altro" evita un astratto imperativo morale
per impegnarci in un lavoro che muova l'altro al nostro bene. Noto di passaggio
che anche la preghiera ha questa caratteristica. Cosa potrebbe significare d'altro
l'evangelico "senza di me non potete fare nulla", se non che solo
la domanda ad un Altro ci permette di operare per la nostra felicità
- salvezza soddisfazione.
Allora astrazioni quali genitorialità, maternità, paternità,
ci tentano a sfuggire ad un lavoro.
Quando le cose vanno male la tentazione è quella di suggerire la mancanza
di una ità, mentre ciò che manca è una legge ed un lavoro.
Solo in questo modo ci è garantita anche la libertà, prima di
tutto dei nostri atti e dei nostri pensieri. Non si tratta quindi di imparare
ad essere genitori, ma di ridiventare figli.